Due giorni fa mi sono guardata uno spot intero in olandese (credo, almeno, che fosse olandese, perché non ci capivo niente).
Perché l’ho fatto? Ma perché era bellissimo!
Ho anche condiviso il video su qualche social.
E se bevessi birra, forse avrei provato ad acquistarla. Ma purtroppo…
La pubblicità che piace, avvince – ma convince?
Una bella pubblicità è spesso come un bel film.
Ha una sceneggiatura che talvolta è proprio una bella storia, con senso dello humor e un tocco di ironia. Ti porta a sorridere con i personaggi, a condividere emozioni, a sentirti parte di qualcosa: un movimento, un gruppo, un modo di essere o di vivere.
Ha spesso una bella colonna sonora, immagini gradevoli o perlomeno una bella fotografia, riprese fatte bene o girate in modo innovativo.
Le pubblicità straniere soprattutto sono magistrali in questo: paesaggi mozzafiato, ricorso a eroi del passato, grandi attori, maestri di un mondo che fu… In Italia più spessi ci rifugiamo nella comoda banalità del testimonial televisivo, che – a dir il vero – è abbastanza trita.
Tutto ciò crea delle opere uniche, appunto un fil in 30 secondi più che uno spot.
Ma serve a vendere?
Sfatiamo un mito: la pubblicità e il marketing non creano mercato, non creano bisogni.
Al massimo influenza delle tendenze di consumo, spostano preferenze, aiutano le aziende a rubarsi vicendevolmente quote di mercato in mercati saturi.
Quello che crea i nuovi mercati è solo l’innovazione.
Solo inventando prodotti nuovi, che risolvono problemi precedentemente senza soluzione, si aprono nuovi mercati.
Se poi a me non piace la birra, non comincerò a berla perché ho visto una pubblicità meravigliosa, neanche se tutti i miei amici bevono birra, di quella marca o di un’altra. Magari qualcun altro sì, in un’altra fascia di età e con altre propensioni al consumo, ma si tratta di percentuali spesso irrisorie.
I nessi causali sono sempre e comunque molto complessi e difficili da indagare.
Le decisioni di consumo sono aleatorie e personali, prese individualmente; fluttuano nel tempo, dipendono da un’infinità di fattori e sono determinabili solo in via statistica, per grandi classi.
Quello che può fare un’azienda, quindi, è provare a fare del suo meglio per colpire l’attenzione di quello che decide sia il suo target e per provare a muoverlo verso l’acquisto.
Se poi lo fa in modo esteticamente gradevole, glie ne siamo grati, perché non accade molto spesso!
Chiara Tonon
Perché l’ho fatto? Ma perché era bellissimo!
Ho anche condiviso il video su qualche social.
E se bevessi birra, forse avrei provato ad acquistarla. Ma purtroppo…
La pubblicità che piace, avvince – ma convince?
Una bella pubblicità è spesso come un bel film.
Ha una sceneggiatura che talvolta è proprio una bella storia, con senso dello humor e un tocco di ironia. Ti porta a sorridere con i personaggi, a condividere emozioni, a sentirti parte di qualcosa: un movimento, un gruppo, un modo di essere o di vivere.
Ha spesso una bella colonna sonora, immagini gradevoli o perlomeno una bella fotografia, riprese fatte bene o girate in modo innovativo.
Le pubblicità straniere soprattutto sono magistrali in questo: paesaggi mozzafiato, ricorso a eroi del passato, grandi attori, maestri di un mondo che fu… In Italia più spessi ci rifugiamo nella comoda banalità del testimonial televisivo, che – a dir il vero – è abbastanza trita.
Tutto ciò crea delle opere uniche, appunto un fil in 30 secondi più che uno spot.
Ma serve a vendere?
Sfatiamo un mito: la pubblicità e il marketing non creano mercato, non creano bisogni.
Al massimo influenza delle tendenze di consumo, spostano preferenze, aiutano le aziende a rubarsi vicendevolmente quote di mercato in mercati saturi.
Quello che crea i nuovi mercati è solo l’innovazione.
Solo inventando prodotti nuovi, che risolvono problemi precedentemente senza soluzione, si aprono nuovi mercati.
Se poi a me non piace la birra, non comincerò a berla perché ho visto una pubblicità meravigliosa, neanche se tutti i miei amici bevono birra, di quella marca o di un’altra. Magari qualcun altro sì, in un’altra fascia di età e con altre propensioni al consumo, ma si tratta di percentuali spesso irrisorie.
I nessi causali sono sempre e comunque molto complessi e difficili da indagare.
Le decisioni di consumo sono aleatorie e personali, prese individualmente; fluttuano nel tempo, dipendono da un’infinità di fattori e sono determinabili solo in via statistica, per grandi classi.
Quello che può fare un’azienda, quindi, è provare a fare del suo meglio per colpire l’attenzione di quello che decide sia il suo target e per provare a muoverlo verso l’acquisto.
Se poi lo fa in modo esteticamente gradevole, glie ne siamo grati, perché non accade molto spesso!
Chiara Tonon
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