Passa ai contenuti principali

Valutare un Investimento in Comunicazione: ROI, Costi Nascosti e Costi-Opportunità

Gli investimenti in comunicazione in tempi di crisi sono molto attentamente selezionati dalle imprese.
Spesso tendono a essere considerati una spesa anziché un investimento – e una spesa superflua rispetto ad investimenti sul prodotto o sul commerciale.

Gli aforismi in merito si sprecano, ma vorrei andare a fondo sugli errori “tecnici” di valutazione che spesso anche gli esperti commettono nelle valutazioni degli investimenti in comunicazione e pubblicità.
Cominciamo? Via!

Ecco i 4 errori di valutazione che più spesso ci fanno perdere preziose opportunità competitive mettendo da parte investimenti fondamentali in comunicazione e pubblicità, col rischio di desertificare la nostra immagine.



1) Non si può misurare il ROI di un investimento in pubblicità. ERRORE!
Un buon medium o un buon prodotto di comunicazione e pubblicità fornisce dati precisi e spesso certificati o controllabili dello share, della diffusione e dell’efficacia delle proprie azioni, per cui si può scegliere a ragion veduta, addirittura calcolando il costo per contatto.
La precisione è massima nel web dove la tracciabilità è assicurata se si gestiscono bene siti e campagne (per esempio con landing page e URL dedicati).

2) Un investimento in comunicazione non vende. ERRORE!
Ci sono comunicazioni istituzionali, di brand e commerciali. Dipende da cosa si vuole ottenere e da quali azioni si intraprendono. Sicuramente però chi non comunica non vende.

3) Non valutare i Costi Nascosti o Impliciti. ERRORE!
Non comunicare costa? Certo!
La rete vendite o i negozi non sono supportati, il prodotto o il servizio girano più lentamente per cui ci verranno chiesti interventi per il sell-out (sconti, note di accredito, promozioni in store) o magari ci saranno restituiti in parte i prodotti o non riceveremo più ordini; i clienti e i partner commerciali potranno essere spaesati o confusi o non avere stima di noi non trovando facilmente o non trovando proprio informazioni.
Anche la mancanza di informazioni è un’informazione (o meglio una "meta-informazione"): significa che sei piccolo o povero o disorganizzato o che non ti curi del tuo mercato.

4) Non valutare i Costi opportunità. ERRORE!
E il denaro che risparmiamo non investendo in comunicazione e pubblicità, come lo investiamo?
Perché se la scelta è molto netta, può essere ben dichiarata e diventare essa stessa una forma di comunicazione... e questo va bene! Anche molto bene.
Per esempio un’impresa può decidere di formalizzare con i propri clienti un accordo del tipo “Non faccio pubblicità e fiere, ma vi garantisco per l’anno corrente uno sconto del 20% sul listino  - oppure un servizio di formazione/assistenza... gratuita in sede  - per darvi il miglior servizio sul mercato”.

Ma se invece l’impresa semplicemente risparmia senza dare alcun beneficio distintivo al suo target, senza investire in prodotto o personale o formazione o tecnologia o altro di verificabile in modo tangibile quanto non investito in comunicazione, il risultato sarà sicuramente mediocre e il rischio concreto è quello di sparire più o meno velocemente dal mercato.

Comunicare è essere in contatto con il proprio mondo.
Non comunicare è rinunciare a farsi protagonisti, significa lanciare messaggi ambigui, se non proprio negativi.
Per un essere vivente come per un'impresa non è possibile non comunicare, può solo comunicare bene o comunicare male.
Pensiamoci sempre quando valutiamo un importo, prima di tirare sbrigativamente un segno di penna o scrivere “no” su un preventivo.

Chiara Tonon

Commenti

Post popolari in questo blog

L’importanza del feedback nelle azioni di marketing

Che senso ha qualsiasi azione se non si ottiene riscontro degli effetti che ha avuto? Nessuno fa una dichiarazione d'amore senza attendere la risposta. Nessuno si mette alla guida senza tenere sotto controllo ciò che accade davanti (e tutt’intorno) all’auto, nonché sul cruscotto. Nessuno cucina la cena per la propria famiglia senza attendere con gioia l’effetto del primo boccone. Un sorriso o un naso arricciato possono essere sufficienti, un complimento è sempre gradito. Si può quindi pensare di implementare delle azioni commerciali o di marketing senza chiedere dei risultati qualitativi e quantitativi , senza essersi prefigurati degli obiettivi , senza aver immaginato degli strumenti (anche imperfetti) per misurare gli effetti delle azioni stesse? Eppure in molte aziende, anche di grandi dimensioni, non c’è attenzione a questo genere di aspetti, specie se il marketing è confuso con la comunicazione, sineddoche così frequente, che pare consentire di rimandare...

“Il cliente è un asset, non un bene consumabile”

Si può riassumere così, in termini aziendalistici, il valore della centralità del cliente nei processi di mercato.  “Il cliente è un asset, non un bene consumabile” Non si tratta "solo" di un tema di marketing, ma della consapevolezza che deve permeare tutte le funzioni aziendali se si vuole giungere al successo e far crescere il valore. Non basta un CRM, per la customer centricity (talvolta non serve neppure). Serve invece la voglia di incontrare i clienti, comprendere le loro esigenze e i loro obiettivi, capire come soddisfarli con prodotti e servizi, al prezzo corretto e distribuiti in modo accorto. Per funzionare davvero la customer centricity è un concetto che dovrebbe guidare l’evoluzione aziendale a partire dalla gamma, non solo riguardare i momenti di contatto con il cliente. Le persone si interessano a noi nel momento in cui parliamo con loro, di loro. Lo stesso vale sui mercati. Perché siamo sempre esseri umani in relazione con altri esseri umani.

Veleno o entusiasmo? Il clima aziendale e la produttività

La crisi ha avvelenato i rapporti. Il Bel Paese è un Paese che fatica a sorridere, concordate? Capitano sempre più spesso, specie sul lavoro, episodi di maleducazione, insubordinazione, inciviltà, che pesano sul cuore delle persone più sensibili e soprattutto deprimono l’entusiasmo, la voglia di far bene e di dare di più. Tutto ciò si traduce in danni economici, specie nelle PMI , perché le grandi aziende sono molto più robuste. Un ambiente di lavoro sereno, se non allegro, al contrario promuove la libera circolazione della comunicazione, che è vitale per lavorare bene, per evitare errori, per costruire un’esperienza comune . D’altra parte la Direzione o i Titolari (o peggio “el paron”) spesso sono gli ultimi ad accorgersi dei problemi , perché solo quando l’esasperazione è al massimo le grida raggiungono il vertice. E non c’è niente di peggio che credere che tutto vada bene, quando invece la frana è già iniziata. Come evitare tutto ciò?  1) Creare un clima collabo...